• Napoli 1 gennaio 1943. Ex calciatore. Centrocampista, al Napoli dal 1962 al 1978, divenne la bandiera del club (del quale fu poi dirigente) e di tutto il calcio del Sud. Con la Nazionale vinse gli Europei del 1968 e fu vicecampione del mondo nel 1970 (giocò gli ultimi 17 minuti della finale persa 4-1 contro il Brasile), 18 presenze in tutto. «Ero un buon costruttore di gioco, tutti i compagni mi davano la palla e tutti sapevano che avrebbero ricevuto qualcosa di “migliore”».
• Convocato senza giocare una partita anche ai Mondiali del 1966 e del 1974: «Nel 1966 Fabbri mi preferì Bulgarelli (e tanto di cappello a Giacomino, che era un fuoriclasse: ma se invece di mandarlo in campo con una gamba sola contro la Corea avessero impiegato me, forse le cose sarebbero cambiate); nel 1970 Valcareggi prese atto del mio cattivo adattamento all’altura e in Messico mi preferì De Sisti; nel 1974 sempre Valcareggi mi preferì Capello e sbagliò: perché io ero molto più forte di Fabio» (a Marino Bartoletti).
• Nel nocembre 2012 rivelò alla Gazzetta dello Sport di aver truccato il match Napoli-Milan del 7 maggio 1978 con la complicità dell’allora capitano dei rossoneri Gianni Rivera. «Nella stagione ’77-’78, all’ultima giornata affrontammo i rossoneri al San Paolo. Con un pareggio, ci saremmo qualificati entrambi per la Coppa Uefa. Per questo incontrai Rivera e Albertosi, prima del match. Decidemmo per il pareggio e, dopo aver spiegato tutto ai miei compagni, facemmo finire la partita 1-1. A un certo punto perdevamo (rete di Bigon al 74’ ndr) e gli altri mi dicevano: “Ma come? Ci hai detto che avremmo pareggiato…”. Allora io andai da Albertosi e gli ricordai che avevamo fatto un patto e che non capivo perché non lo stessero rispettando. E lui replicò: “Capitano, ma che devo fare se io mi sposto a destra e i tuoi mi tirano la palla addosso?”. Poi arriva la svolta. “Angolo al 90’, Vinazzani che è uno che di gol di testa in carriera non ne ha mai fatti, va in mischia e firma il pareggio. E tutti eravamo felici: più di tutti i tifosi». Rivera non ha confermato né smentito questa versione dei fatti.
506 gare disputate con la maglia del Napoli e 38 reti realizzate. Antonio Juliano è stato una vera e propria bandiera del club azzurro dal 1961 al 1978, centrocampista e capitano partenopeo vincitore della Coppa Italia nella stagione 1975/76. Soltanto la sua ultima stagione da calciatore professionista al Bologna gli ha impedito di giocare per tutta la sua carriera al Napoli, ma il giocatore resterà per sempre legato solo e soltanto alla società campana. Con la Nazionale ha invece disputato 18 gare, laureandosi campione d’Europa nel 1968 e vice campione del mondo nel Mondiale in Messico 1970. Oggi Juliano compie 73 anni e dopo essere stato dirigente del Napoli svolge adesso il ruolo di opinionista.
ANTONIO JULIANO – Pubblicato in Agosto 1978
ADESSO «TOTONNO» Juliano ha riscoperto all’improvviso il sapore antico dell’amicizia. Di quella autentica e personale, però; di quella che il mondo contraddittorio del calcio può – a volte – stemprare in termini economici o di tornaconto ma che per un napoletano di nascita e di sentimenti resta forse il patrimonio maggiore. Quasi una regola di vita da tenere accuratamente fuori dalla professione, anche se dal pallone Juliano ha avuto tutto. Per questo, quando l’altro giorno alle 19,45 il Napoli è partito per il ritiro precampionato di Bressanone senza di lui (per la prima volta in sedici anni), «Totonno» s’è sentito tradito.
Defraudato di un patrimonio calcistico fatto di diciotto convocazioni in maglia azzurra, quattordici campionati di serie A, due di B e trecentonovantaquattro presenze in campo con ventisei reti realizzate. Quel curriculum, cioè, che fino a ieri l’aveva collocato sul piedistallo di «Re di Napoli» e padrino assoluto del S. Paolo. Da qui, la riscoperta dell’amicizia detta all’inizio. Identificabile nelle manifestazioni d’ affetto dei tifosi impreparati ad applaudire un «ciuccio» senza di lui e nelle proposte fattegli da squadre per le quali il vecchio guerriero è comunque un validissimo esponente di quella selezionata categoria di «piedi e cervello fino» i cui eredi del talento calcistico si fanno sempre più rari.
D’accordo, le tecniche più moderne suggeriscono l’abolizione del tradizionale regista e forse la sistematica richiesta di «Totonno» d’avere la palla al piede per poi smistarla, dopo una piroetta, verso il difensore fluidificante oppure allungarla alla punta poteva rappresentarne una negazione (a tutt’oggi, però, ancora da dimostrare in assoluto), ma resta il fatto incontrovertibile della sua intelligenza in campo e della sua classe naturale.
«E’ la qualità del lavoro che si fa in partita quello che più conta», un giorno si lasciò fuggire di bocca. E quindi oggi, dopo l’affronto della lista gratuita, s’è chiuso in una solitudine dai contorni malinconici e rabbiosi allo stesso tempo sicuro d’essere nel giusto.
ED ORA CHE è approdato al Bologna, sua seconda squadra di sempre a trentacinque anni abbondantemente compiuti, rimane coerente con i suoi principi pur non rinnegando un passato felice e, perché no?, pure glorioso. « Il passo che ho compiuto – afferma subito dopo la firma del contratto – non è stato facile benché l’abbia effettuato con la massima convinzione. E, in questo, devo ringraziare mia moglie che m’ha sempre sostenuto».
– Lasciare Napoli e il Napoli non deve essere stato agevole, però … «I cicli, purtroppo, si chiudono e non si può rimanere ancorati per tutta la vita ad uno stesso ambiente o ad una medesima città. Certo, subito dopo questa mia nuova esperienza ritornerò a Napoli, alla mia terra. Al momento il mio è solo un arrivederci che durerà non più di due anni. Sono cosciente, infatti, dei miei limiti e di poter disputare non più di due tornei a buon livello. Poi riprenderò la via di casa, definitivamente».
– Sarebbe stato più semplice mettersi dietro ad una scrivania, e intraprendere la carriera dirigenziale. A proposito: l’ingaggio di Ferlaino non era poi tanto distante da quello che le ha offerto Conti … «Non s’è mai trattato di soldi, questo è sicuro. Tant’è che, con i miei nuovi squisiti dirigenti, ho raggiunto l’accordo in poche battute, non più di quindici minuti di colloquio. E’ che continuando a giocare, intendo dimostrare di non essere finito. E di poter ancora dire una parola importante nel calcio italiano».
– Se l’aspettava, sinceramente, di dover lasciare la squadra della sua città, di tutta una vita? «Sapevo che Di Marzio non mi gradiva particolarmente; e che, quindi, avrei potuto chiudere ogni discorso con la mia squadra di sempre. L’amarezza è dovuta al fatto che la notizia della mancata riconferma mi è stata comunicata con eccessivo ritardo, addirittura dopo la metà di luglio».
– I motivi? «Solamente di natura tecnica, ha affermato Di Marzio. Ed allora ho concretizzato l’ipotesi di lasciare Napoli pur di continuare a giocare. Uno sfizio? Potrebbe essere, nella misura almeno in cui c’è stata gente che non ha creduto in me ed altra – invece – che m’ha voluto senza riserve».
– E si riferisce, tiene a precisare Totonno, ad altri tre clubs che lo hanno richiesto con serietà d’intenti. «Cosa conto di fare qui a Bologna? Spero di far bene, è logico e di non deludere i miei nuovi tifosi. Ed i dirigenti, soprattutto Montanari con cui ho già trascorso una stagione a Napoli. Non vengo, sia chiaro, a dettare legge: mi pongo, invece, al servizio della squadra, dei compagni, degli schemi che Pesaola vorrà dare alla compagine».
– Un ritorno il suo, con il Petisso … «Che mi fa particolarmente piacere: è la conferma di aver fatto bene in passato e che le persone con cui ho lavorato mi ricordano volentieri».
– Conclusa, un giorno, la carriera agonistica, ritornerà al Napoli come dirigente? Ferlaino se la sentirà di ripeterle, all’indomani di questa vicenda, l’offerta di qualche giorno fa? «Nei miei programmi esiste questa possibilità. Ancora, però, ad essere sincero non ci ho pensato seriamente. Forse perché sono napoletano verace preferisco vivere alla giornata senza pormi troppe preoccupazioni per il futuro. Comunque la chance di riavere un ruolo nella mia ex squadra non è svanita. E perché poi? Con Ferlaino mi sono lasciato in buoni rapporti, in amicizia. Eppoi, se così non fosse stato, il presidente non mi avrebbe offerto (per di più con un ottimo stipendio) una poltrona dirigenziale e la lista gratuita».
– Resta però l’amarezza nei confronti di chi, magari con diplomazia, non l’ha voluta più con sé … «Più che di amarezza parlerei di desiderio di rivincita. In fondo non ho effettuato una scelta di comodo. Parlo anche della mia famiglia, di mia moglie, dei tre bambini, il più piccolo dei quali ha sette mesi e gli altri due sono ora costretti a cambiare scuola».
– Cosa prova a cambiare maglia, città, club, amicizie a trentacinque anni? «A dire il vero preferisco guardare avanti e non voltarmi indietro: come ho sempre fatto finora. E, poi, sono curioso di affrontare una nuova esperienza con tutte le novità che comporta. Le amicizie? Non è danno grave perché, non ho lasciato nella «mia» Napoli amici veri, ci quelli – tanto per intenderci – cui chiedere aiuto in caso di necessità».
– Rimpianti sportivi dovrebbe averne, però… Magari la mancata conquista dello scudetto o il dialogo interrotto con la Nazionale… «Il primo più del secondo. Ad un titolo italiano ci tenevo veramente, per me e per Napoli. Ci siamo anche andati vicini in talune occasioni. Bisogna dire, al riguardo, che c’è sempre mancato qualcosa, meglio qualcuno, in linea tecnica. Quanto alla Nazionale mi ritengo soddisfatto delle mie diciotto presenze e delle prestazioni offerte in maglia azzurra. Sia chiaro, comunque, che non fa mai piacere a nessuno salutare la Nazionale».
– Ma cosa manca al Napoli per puntare decisamente allo scudetto? «Difficile rispondere. Due sono, però, gli argomenti che balzano maggiormente agli occhi: gli altissimi costi di gestione e la mancanza d’un settore giovanile davvero valido. La società, pensi, costa oltre un miliardo e mezzo all’anno: e solo in parte a causa degli ingaggi dei giocatori. I nostri emolumenti, infatti, non superavano l’anno passato gli ottocento milioni. E’ che il Napoli ha troppe persone alle sue dipendenze. Il vivaio, poi, non ha mai offerto serie garanzie. Eppure è sempre costato fior di milioni. E quanti sono i napoletani veri che hanno giocato nella loro città con la casacca azzurra? Facciamo i conti: Juliano. E basta».
– E Montefusco? «Sì ma il Napoli lo dovette riacquistare dalla Spal…».
VIEN FACILE CHIEDERSI, a questo punto, se il club partenopeo non dovrà aspettare il ritorno del suo rappresentante più schietto per assestarsi ai vertici del calcio italiano ed europeo magari con un’organizzazione interna più spartana, meno costosa, e – forse – più efficiente. Siamo a Bologna, Juliano ha firmato da pochi minuti il contratto che lo legherà per una stagione alla squadra felsinea: eppure il discorso scivola ancora su Napoli. Sulla città più che sulla squadra. «I problemi sono tanti – dice Juliano – E pure difficili da risolvere. E’ facile riempirsi la bocca con frasi importanti e trovare le soluzioni in teoria, a parole. Osservi il fenomeno del contrabbando di sigarette. In teoria, appunto, è da condannare. In pratica, però, è un bene che sopravviva: col contrabbando, infatti, vivono oltre trecentomila persone. Immerse nel pericolo, per di più. Perché ci vuole coraggio, tanto coraggio, ad affrontare il mare in qualsiasi condizione e raggiungere le navi a venti-venticinque miglia lontano dal litorale. Al limite, poi, il contrabbando di sigarette non è nocivo. Chi ci lavora sa, difatti, che sarà lasciato relativamente tranquillo di operare finché si tratta di sigarette. Ben diverso sarebbe il discorso se si parlasse di droga: allora lo stato non chiuderebbe un occhio. E per i contrabbandieri sarebbe la fine. Ecco, perciò, quasi per assurdo, che questo fenomeno non è poi così negativo. La gente, d’altra parte, deve campare. E d’aria non si vive…».
– Dei presidenti e dei tecnici che ha avuto a Napoli chi ricorda con maggiore sentimento? «Forse il povero Gioacchino Lauro che ha governato il Napoli quando ancora era un divertimento giocare a calcio. Ma di nessuno (presidenti o allenatori) ho un ricordo negativo. «U’ comandante», per esempio, è un grande personaggio: come non ricordarlo con affetto? E lo stesso Ferlaino che sta cercando di dare una nuova impronta al club. Con gli allenatori mi sono sempre trovato bene…».
– Lei ha trentacinque anni ma è sempre sulla breccia. Di Juliano si dice anzi che è uno degli ultimi rappresentanti dei cosiddetti registi. Alcuni tecnici, però, affermano che vanno eliminati. Che oggi il gioco non deve passare attraverso un solo giocatore. Tutti registi, insomma… «Che vuole: ognuno parla in rapporto agli uomini a disposizione, lo dico che oggi, almeno quanto a fatto tecnico, si gioca peggio d’una volta. Chissà… forse per motivi generazionali… ma giocatori di talento come De Sisti, ad esempio, non nascono più tanto facilmente. Ecco perché noi «vecchi» siamo ancora utili. E possiamo anche farci rimpiangere…».
– Lo svincolo di cui tanto si parla: lo ritiene un fatto positivo? «Non so: direi di no. Meglio: ci sarebbe da dire che è un fatto logico, d’evoluzione, che doveva arrivare per forza. Ma che, forse, è arrivato troppo presto. Con questo sistema saranno in tanti a pensare al futuro, alla nuova stagione, quando il campionato è ancora in pista. Ed ecco che tutto diventerà più difficile, più complesso…».
– I tifosi rossoblu si attendono molto da lei: non dimentichi che Juliano, in un certo senso, rappresenta il dopo-Bulgarelli. A parte la breve parentesi di Pecci, qui non ricordano più uomini d’ordine e di classe a centrocampo… «Questo mi fa piacere: vuol dire che anche i tifosi credono nelle mie qualità. Faremo bene, io penso. Di questi tempi – in verità – nessuno parla di retrocessione. L’unico sincero è stato Pizzaballa secondo il quale undici club hanno da temere la permanenza nella massima serie. Spero, però, che il Bologna, quest’anno, lasci più tranquilli i suoi tifosi. Anche se, lo ripeto, il torneo sarà duro come quello che s’è concluso a maggio».
L’intervista si stempera in linea con la nuova realtà. Il passato partenopeo rimane tale: al massimo – in Juliano – vivrà di proiezioni. Perché l’oggi è diverso: e con lui (un ragazzino, s’è sentito di affermare il medico Dalmastri dopo le rituali visite di controllo) il presidente Conti e i suoi uomini sperano di vivere un torneo, il prossimo, più tranquillo e meno rischioso dei precedenti. Lo meriterebbe, per prima, la tifoseria (civile ed appassionata) che vorrebbe gustarsi pure qualche scampolo di bel gioco. E lasciare i ricordi, anche quelli belli e forse irripetibili, alle proteine della memoria.
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